domenica, giugno 29, 2003

Su di un palco alto quanto il piano di una casa, Bruce Springsteen si muove come uno di quei predicatori in procinto di fare il miracolo che si vedono sui canali americani. piove a dirotto sul pubblico, ci si guarda intorno circondati da movimenti frenetici, ognuno cerca di coprirsi come può, a chi non ha nulla da indossare non rimane altro che stare in piedi con le mani in tasca a guardare il palco mentre le gocce scivolano lungo le braccia.
Il Boss legge da un foglio un italiano stentato "Milano, sono passati 18 anni, siamo cresciuti insieme".
ovazione.
E' vero Boss, siamo cresciuti insieme. Il tuo fu il primo concerto in assoluto che vidi, avevo tredici anni nel 1988. Io e Paolo quel bambino un po' grassottello della mia età che abitava pochi numeri più avanti. abbiamo raccontato una balla ai nostri genitori e siamo andati a vedere il tuo concerto. Lo stadio Comunale di Torino sembrava così grosso e noi ci eravamo trovati il nostro spazio sui distinti centrali, l'unico posto che conoscevo perchè mio padre mi ci portava a vedere l'ultimo quarto d'ora delle partite. seduti sotto il sole aspettavamo che il concerto iniziasse mentre negli altoparlanti suonava sign of the times di prince. La gente ci guardava e sembrava indicarci, probabilmente si chiedeva se veramente fossimo da soli o i nostri genitori non fossero appostati poco più dietro.
Ora paolo non è più grassottello, ha un tesserino con dentro una sua foto in giacca e cravatta e una strada che sembra tracciata con la sicurezza di chi sa che il cammino sarà lungo, ma la meta se la vede davanti se solo prova a chiudere gli occhi. Di anni ora ne abbiamo ventinove, crescere ci ha regalato poche cose da condividere nella vita di tutti i giorni, e non sono solo i 150 km fra torino e milano a dividerci. La mia strada sembra il disegno di un cieco, è fatta di bivi, imbocchi autostradali, strade morte e disconnesse, statali buie percorse in vespa a fari spenti. I cartelli stradali mi passano davanti colorando di blu la visiera del casco, ogni tanto attirato da non so cosa svolto ad un incrocio, e il posto che raggiungo mi sembra sempre bello, almeno per un po'. Poi la voglia di provare nuove strade mi spinge a rimettere in moto, fintanto che la speranza di trovare un luogo ancora più bello sarà viva.
E inzuppato sotto il palco, il braccio mi fa male da quanto lo sto agitando, il sangue sembra impazzire nelle vene quando Bruce, al termine della mia canzone preferita di sempre urla nel microfono "è una città piena di perdenti, sto scappando da qua per andare a vincere".

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