Dalek, a Torino, il 21 novembre al cafe procope.
6 mesi dopo, circa.
maneggiano una massa rumorosa, appena sfornata, ancora incandescente: rumore bianco e nero dal quale escono le urla (reali) della musica degli ultimi 50 anni e della società odierna (attraverso le liriche).
mentre sei lì davanti al loro gesticolare a tempo, accade un rapimento visuale, ogni possibile immaginazione che l'uditore potrebbe avere in quel preciso istante viene congelata dalle parole incisive accompagnate da un costante incedere granitico.
se si separano i brani dalla dimensione live, questi potrebbero suonare come colonna sonora ideale di una qualsiasi puntata della trasmissione blob.
gli arrangiamenti dei brani suonano sin meglio che sui dischi, sono più articolati, la struttura gira attorno a lenti pattern di batteria ingabbiati in un magma di suoni dissonanti che in lontananza riconosci come campionamenti di chissà quale musica... le parole, il così detto, rappato, si distingue maggiormente rispetto alle registrazioni.
con loro (ma non solo), cambia anche l'ottica di un concerto hip hop: il dj ora, si muove tra un mixer, due computer portatili ed un controller, ma l'approccio è il medesimo: le macchine vengono utilizzate come se fossero dei giradischi.
questo stato di cose che si crea mentre suonano, muta quando scendono dal palco, ed è dalek stesso ad occuparsi del merchandise, riassumendo le sembianze umane e di un tipo a prima vista, gentile.
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